LA STORIA DELLA TECHNO

Corre l’anno 1967.

Detroit ha l’aspetto di un grosso sobborgo extraurbano, con edifici dallo stile architettonico decadente, in crisi economica ed in pieno “white flight” – ovvero il fenomeno della migrazione dei “bianchi” verso lidi più felici. La maggioranza della popolazione che la abita è di colore, cresciuta rapidamente di numero, ma lasciata priva di risorse ed in un’atmosfera di segregazione, legale e meno legale. Questo ha dato origine a scontri violenti. Immaginate di vivere in una città pensata per 4 milioni di persone che in realtà non arriva ad ospitarne un milione; di respirare un’atmosfera di scontri razziali e di vedere i vostri genitori andare a lavoro in macchina percorrendo lunghe tratte di strade desolate, per poi tornare a casa sfiniti e raccontarvi che, nelle fabbriche, lavorano con i robot.

È il periodo dell’ingresso dei princìpi di automazione e dei primi computer, ma l’approccio non è di preoccupazione o di terrore, tutt’altro: c’è eccitazione e curiosità. Una grossa città fantasma industriale in trasformazione, abitata da cittadini che possono consentirsi a stento i beni di prima necessità, con tanto spazio a disposizione e tanta immaginazione lasciata libera di correre. Le persone nate qui hanno spesso la sensazione di essere destinate a rimanerci in eterno, e chi ha il coraggio o la forza di andarsene, suscita terrore o si sente chiedere “Perché vivi lì?” con aria stupita.

In questa atmosfera, negli anni ‘70 arrivano potenti le influenze di gruppi come i Kraftwerk ed i Cluster, il funk di Funkadelic e Parliament, il rock ambientale dei Tangerine Dream, mentre l’elettronica proveniente da Chicago bussa prepotentemente ai cuori degli abitanti di Detroit. È qui che i tre Maestri, soprannominati “i Belleville three”, considerati i tre padri fondatori della techno, creano qualcosa di innovativo e capace di far ballare per ore: Juan Atkins, Derrick May e Kevin Saunderson trasformano la tecnologia in un “black secret”, portando la musica ad un livello completamente diverso.

Juan Atkins è dei tre padri fondatori il vero genio creativo, colui che per primo ha dimostrato una certa curiosità verso il mixing di determinate sonorità su specifici bpm, aprendo la strada a tutto quello che è stato creato successivamente. Fonda il duo dei Cybotron, assieme a Rick Davis, e con la sua musica diffonde gli ideali di Alvin Toffler esposti nel libro “La Terza Ondata”, di cui era innamorato; lo scrittore narra infatti che il futuro sarebbe appartenuto ai “tecno-rinnegati della società” ed Atkins, identificandosi in questa definizione, nell’84 produce un 12 pollici dal titolo “Techno City”. Gli aggettivi utilizzati per descrivere la sua musica sono “endemica”, “spirituale”, “innovativa”, “irresistibile”.

Se Juan Atkins è colui che ha creato la techno, Kevin Saunderson è dei tre padri fondatori colui che ha portato questo genere alle masse, vendendo più di sei milioni di dischi in tutto il mondo, rendendo la techno un successo commerciale. Le sue influenze derivano dalla disco music e dai ritmi consistenti e contagiosi della musica house. Derrick May, ultimo padre fondatore, caratterizzato da una personalità molto forte, “che tutti vorrebbero ma che nessuno ama”, è l’innovatore. La sua musica è più incalzante rispetto a quella di Kevin, tuttavia è il loro binomio che porta la techno ad un fenomeno da dancefloor.

Il primo techno club underground nel mondo nasce proprio a Detroit, e diviene il luogo in cui si riuniscono tutti a suonare da mezzanotte fino alle sei del mattino: “The Music Institute”. Un altro fenomeno che ha contribuito alla diffusione della musica techno è Electrifying Mojo, che nella seconda metà degli anni ‘80 passa in radio le tracce che avrebbero fatto la storia della musica elettronica, diffondendo il verbo di questo innovativo genere musicale. Si definisce un “osservatore”, ed è colui che ha scoperto e lanciato Jeff Mills, pietra miliare della techno music. A Detroit non potevi davvero dire di aver creato una hit, se Mojo non la passava in radio. Era un oppositore della musica diurna, un visionario capace di andare contro le regole e contro le masse, che suonava per la “black people” della city. E’ difficile dire se Mojo ispirasse la triade della techno o se piuttosto fossero loro a contagiare lui: il confine era davvero sottile.

La definizione di musica techno diventa ufficiale nell’88 grazie alla Virgin Records: fino ad allora la musica prodotta dalla triade era erroneamente considerata musica house, ed infatti il primo titolo della stesura dell’album raccolta sarebbe dovuto essere The House Sound of Detroit, cambiato in The Techno Sound of Detroit grazie ad una proposta di Juan Atkins.

La triade della techno raggiunge l’Inghilterra, e quando The Techno Sound of Detroit esplode in Europa, si posiziona al numero uno delle classifiche in UK. Durante un’intervista, Derrick May – per spiegare ai media la loro rivoluzione musicale – dichiara: “Questa musica è come Detroit, uno sbaglio completo. È come George Clinton ed i Kraftwerk bloccati in un ascensore”. Juan Atkins aggiunge: “Voglio che la mia musica suoni come due computer intercomunicanti, non voglio che sembri una band reale. Deve suonare come se l’avesse fatta un tecnico. Ecco cosa sono io: un tecnico con sentimenti umani”.

Questo momento segna il passaggio a quella che verrà ricordata come la “seconda ondata” della musica techno. A segnare questo periodo ci sono Jeff Mills, Rob Hood, Claude Jung, Mike Banks, che donano a questo genere un’impronta più dura, più dark ed implacabile rispetto ai morbidi groove della prima ondata. Nei club di Berlino si inizia a parlare di Underground Resistance, di cui Jeff Mills è co-fondatore assieme a “Mad” Mike Banks e Robert Hood, altra triade iconica di questo genere che rappresenta anche un’interpretazione politica della musica, che enfatizza le radici nere del sound e combina la durezza musicale a strutture minimal. E proprio parlando di politica, questo genere segna un periodo storico importante anche per la Germania: dopo il crollo del muro, i berlinesi est ed ovest si ritrovano a ballare lo stesso sound, riuniti nelle stesse piste da ballo. La musica nata dalla collaborazione Berlino-Detroit tra il club Tresor e l’Underground Resistance si spande a macchia d’olio in tutta Europa: Inghilterra, Belgio ed Olanda in particolare.

Nasce la cultura dei rave party, e nel ‘93 arrivano anche a Detroit, e con essi giunge anche nuova vita nella city. La techno, un prodotto nato in una città industriale in crisi economica in America, giunge in Europa e filtrata dalle sonorità del club Institute torna alla città d’origine con ritmi più incalzanti e cupi: trasformata, rinnovata, svuotata delle sonorità più dance e ridotta all’essenza delle sonorità dei sintetizzatori e dei bassi. Da questo momento in poi, i DJ della techno music sono chiamati a suonare in ogni parte del mondo: dalle Ande, a Gerusalemme, alla Turchia, alla Russia, in Europa. Diviene ben presto un fenomeno musicale e culturale a livello globale.

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