LA STORIA DELLA MUSICA HOUSE

Tutto inizia in un loft di 220 mq all’angolo tra Broadway e Bleecker Street, a New York, nel 1970.

Il proprietario, un “certo” David Mancuso, era solito organizzare nella sua dimora delle feste super esclusive da circa 200 invitati, la cui selezione era estremamente rigorosa; l’elenco dei presenti era incredibilmente eterogeneo: includeva artisti, amici, galleristi, uomini d’affari – svariate estrazioni sociali, etniche e culturali. Il sound system di queste feste è considerato ancora oggi uno dei migliori di sempre, al punto da essere stato d’ispirazione per i club commerciali, ed il concetto stesso di festa – “Love Saves The Day”, il titolo dei party privati di Mancuso –  con il suo mood e quella selezione musicale, fu d’ispirazione per la nascita di discoteche quali il Paradise Garage, The Gallery ed il The Saint.
Ma torniamo al “The Loft”. Il primo vero club di culto, nonché domicilio di Mancuso – uno dei pionieri della musica disco, tra i primi DJ della storia e precursore della cultura underground – aveva sulla lista degli invitati nomi come Larry Levan, David Morales, Nicky Siano, Tony Humphries e Frankie Knuckles – e su quest’ultimo concentreremo la nostra attenzione. 

Nato nel South Bronx nel 1955, trascorre l’infanzia assistendo alle rivoluzioni sociali dell’epoca, divorando i dischi di musica jazz e soul della sorella. Nel 1971, a soli 16 anni, inizia a fare il DJ per il Better Days portando una selezione di musica black composta da jazz, soul, funk e rhythm’n’blues che nel ‘72 gli fa guadagnare la chiamata al Gallery, a Soho, Manhattan. Qui, Frankie divide la console – composta di tre piatti, di cui il terzo utilizzato per inserire effetti e suoni – con Niky Siano e Larry Levan e qui, i tre giovani DJ insieme, danno vita ad una nuova tecnica per suonare i dischi: il “beat matching”, che consiste nell’utilizzo dello stesso numero di beats per minute per fondere due brani diversi, dandogli un senso di continuità, stravolgendo quello che diventerà il futuro della musica e della club culture. 

Levan e Knuckles passeranno poi a suonare in un garage al n. 84 di King Street, battezzato ufficialmente Paradise Garage nel 1978, culla del movimento della disco music degli anni ‘70; qui sperimenteranno i primi DJ-set, ovvero sessioni di musica dalla forte componente sessuale e trasgressiva, propaganda di un messaggio culturale e generazionale, di un modo di essere, di un nuovo modo di vivere la musica stessa.

Mentre Larry Levan resta al Paradise Garage, firmando un sodalizio che li vedrà diventare grandi insieme, nel 1977 Knuckles lascia la Grande Mela per approdare a Chicago, diventando il resident di un club destinato a scrivere la storia della musica: il Warehouse. Ci troviamo negli anni delle rivolte sociali, dell’emarginazione delle comunità LGBTQ+ e della controcultura, della nascita del punk e della musica vissuta come esigenza e non come mero ascolto d’intrattenimento, ed il pubblico di Chicago, eterogeneo nei gusti tanto quanto nell’etnia, è assetato di evasione dalla quotidianità.

Questo nuovo disagio esistenziale, che muove gli ascoltatori ma anche lo stesso Frankie, lo spinge a creare qualcosa di nuovo: con un registratore a bobine manipola i dischi, realizzando re-editing di brani soul isolando i break ritmici e riproducendoli in loop ritmici ed ipnotici, recupera vecchi gospel e li carica di beat elettronici, tappeti di sintetizzatori che richiamano vecchi blues, in un mix di vecchio e nuovo. Nasce il “mixing”. 

Collegando il registratore al mixer e miscelando i brani ai beat, Frankie Knuckles compie una magia e crea un suono completamente inedito, trasformando per sempre il ruolo di DJ: da esecutore di brani a creatore di musica inedita. Nel Warehouse, Knuckles suona per la prima volta la musica che verrà poi venduta nel 1983 tramite la casa discografica Imports Etc con la dicitura “Ascoltato al Warehouse”, abbreviata successivamente solo con “House”. Tale impresa, nel tempo varrà a Frankie Knuckles il soprannome di “Godfather of House”; talmente titanico da intitolare a suo nome nel 2004 la strada in cui risiede lo storico club di Chicago: “Honorary Frankie Knuckles Way”.

L’immenso lavoro creativo di Knuckles apre le porte ad una nuova era, creando con un effetto domino uno dei generi più proliferi della musica e che a sua volta darà vita a diversi sotto-generi, ispirando altri DJ ed etichette discografiche. A partire dall’uscita del disco  “On and On” nell’84 di Jesse Saunders, alla Trax Records di Lerry Sherman nell’85, passando per le tracce di house music trasmesse in radio con la WBMX di Chicago o nella Grande Mela con Radio Kiss FM.

A proposito di sotto-generi, sempre a New York Larry Levan propone sonorità che uniscono strumenti reali ed elettronici, con parti cantate legate alla musica soul ed r&b, dando vita alla garage house – nome ispirato proprio al luogo in cui questo genere prende forma, ovvero il Paradise Garage. Il 1986 segna l’anno in cui la musica house si diffonde a macchia d’olio, pur appartenendo ancora ad una cultura underground: da “I Can’t Turn Around” di JM Silk che si classifica al primo posto su Billboard, a “Love Can’t Turn Around” di Farley Funk che sbarca nella chart inglese di Top of the Pops, fino a “Move Your Body” di Marshall Jefferson che approda in Europa con le radio pirata britanniche.

Nello stesso anno, a Chicago, nascono ulteriori sotto-generi house: dalla deep house di Larry Heard con “Can You Feel It”, dal ritmo lento e melodico con un andamento ipnotico che richiama il jazz ed il funky, alla acid house di DJ Pierre con “Acid Tracks”, musica dal tempo in 4/4, cassa dritta, suoni e voci distorte tra i 120 ed i 130 bpm; nel 1989 si apre il filone della hip house con i range di tempo della house di quel periodo ed elementi come vocalità rap e scratching, con Lil’ Louis come portabandiera – il quale, pubblicando “French Kiss”, ottiene sia il contratto con la Epic, sia la censura in Inghilterra per il contenuto considerato troppo esplicito ed erotico. In Europa, la musica house esplosa in Inghilterra arriva fino ad Ibiza, dove trova terreno fertile nello storico club Amnesia: nasce la “Second Summer of Love”, un fenomeno culturale giovanile che ripropone le ideologie hippie degli anni ‘70 con una prospettiva più edonista e ricreativa, con la acid house che ne fa da protagonista insieme all’ecstasy, consumata nei rave party – fenomeno che diviene ben presto un problema di ordine pubblico, sotto la rigida guida della Thatcher. Più avanti, la cultura dei rave lascerà spazio alla musica techno ed alla trance, vedendo la musica house ballata ed apprezzata soprattutto nei club, uscendo dalla visione underground del genere e diventando “commerciale”.

In Italia il genere è diventato popolare verso la fine dell’87 con “Pump Up the Volume” dei MARRS e successivamente nell’estate dell’88 con le tracce che si sono inserite ai vertici delle dance chart, quali “Theme from S’Express” degli S’Express, “Good Life” degli Inner City, “Jack To The Sound Of The Underground” di Hit House, “Get Real” di Paul Rutherford, “Wait” di Kym Mazelle e “Say!Rayo!” dei Brooklyn Boyz Choir. Queste influenze hanno dato il via libera alla scena house italiana, soprannominata italo house o spaghetti house, con progetti come Gino Latino e Cappella e nell’89 con “Ride On Time” di Black Box e “Touch Me” di 49ers.

Gli anni ‘90 vedono poi la nascita di un nuovo sotto-genere, l’eurodance, sotto il quale si ritrovano “Rhythm is a Dancer” degli Snap!, “Please Don’t Go” di Double U e “What is Love” di Haddaway e della conseguente percezione, verso la metà di quegli stessi anni, della musica house come qualcosa di man mano sempre più distaccato dal filone underground, con brani quali “The Bomb” dei Bucketheads, “Your Loving Arms” di Billie Ray Martin, “Make The World Go Around” di Sandy B e “Hideaway” di De’Lacy che raggiungono un grande successo. In questi stessi anni nasce la UK garage, composta dalla fusione tra R&B, jungle e garage house con una ritmica che ricorda la breakbeat.

Sono gli anni che vedono nascere anche la ghetto house, con vocalità a tema sessuale ed uno stile di danza erotizzato e basato sul contatto fisico, e della Jersey sound, ispirato dalla scena gospel e dai generi fondamentali della cultura afroamericana, nato nel club Zanzibar ed associato alla cultura ballroom animata dalla comunità LGBTQ+.

Altro sotto-genere della fertile musica house è la tech house, commistione nata a cavallo del millennio che si fonda tra l’incontro dell’anima soul della house music ed i suoni più incalzanti ed elettronici dei drum-kit della techno di Detroit.

Andando avanti nel tempo, arriviamo al biennio ‘98-’99 che produce alcuni dei successi capaci di dominare le classifiche Pop e Dance di tutta Europa: “Music Sounds Better with You” degli Stardust, “Music Is the Answer” di Danny Tenaglia feat. Celeda, “Needin’ U” di David Morales, “Don’t Call Me Baby” dei Madison Avenue, “Big Love” di Pete Heller, “Red Alert” dei Basement Jaxx, “Sing it Back” di Moloko, e “U Don’t Know Me” di Armand Van Helden. Nasce la french house, di grande successo internazionale, con capostipiti del genere come Daft Punk, Fred Falke e Bob Sinclar.

Approdiamo agli anni 2000, dove la funky house “spodesta” l’eurodance, grazie al talento di artisti nostrani quali Spiller, Moony, Gianni Coletti e d’oltralpe come Joey Negro, Shapeshifter, Freemasons e di tormentoni come “Another Chance” di Roger Sanchez, “The Weekend” di Michael Gray e “World, hold on” di Bob Sinclar. Più di nicchia risulta invece la latin house, dalle sonorità latino americane, lanciata da Luie Vega. Più avanti, nella prima metà del nuovo millennio nascono nuovi sotto-generi fusion come l’electro house e la fidget house con artisti di riferimento come Deep Dish, David Guetta e Calvin Harris, mentre nel 2010 la Svezia diviene pioniera dell’ondata progressive house commerciale trovando terreno fertile in nomi quali Swedish House Mafia, Avicii, Usher, producendo hit da classifica.

Arriviamo ai giorni nostri, ed ancora ci ritroviamo sotto cassa, nei club o ai party, per ballare una musica nata oltre 40 anni fa, che nel ventennio d’oro ‘89-’09 ha prodotto più tracce di qualsiasi altro genere musicale. E tutto questo lo dobbiamo ad un ragazzone chiamato Frankie Knuckles, la cui intuizione ed il cui estro creativo hanno cambiato per sempre il modo di concepire il ballo, la figura del DJ e la musica stessa, elevando un evento mondano ad elemento portante di un modus vivendi sociale. Tutto ciò che ascoltiamo, balliamo e che viene prodotto oggi si poggia sulle fondamenta di “Godfather of House”, e su un semplice registratore a bobine. 

Grazie, Frankie.

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